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Music - CD Reviews - Review | by SuccoAcido in Music - CD Reviews on 01/05/2001 - Comments (0)
 
 
 
Immortal Lee County Killers, Matmos, Friendly Persuasion, Uzrujan, Bartok, Aidoru, Giardini di Mirņ, Anatrofobia, Viclarsen, Elle, Gea.

Immortal Lee County Killers, Matmos, Friendly Persuasion, Uzrujan, Bartok, Aidoru, Giardini di Mirò, Anatrofobia, Viclarsen, Elle, Gea.

 
 

IMMORTAL LEE COUNTY KILLERS

The Essential Fucked up Blues!

Estrus

Una chitarra e una batteria: ecco l’essenziale. Un rumore infernale, come se le chitarre diventassero piano piano due, dieci, cento: una tempesta, ecco il fottuto Muddy Waters tirato fuori dalla fossa e invitato ad una notte di eccessi, ecco il blues. Se il Jon Spencer degli ultimi tre dischi vi ha addormentato i sensi, ecco

qui quello che ve li farà svegliare con la potenza di un elettroshock. Chet Wise e Boss Sherrard sono la più fottuta, bastarda, malvagia banda di stupratori del blues da molto tempo a questa parte. Eccessivi come la Blues Explosion del periodo Crypt (ascoltate l’attacco di "Let' s get killed", quasi un plagio), rumorosi e lascivi come i Cramps di Gravest Hits ("Big damn roach" è uno scontro di locomotrici lungo i binari per l’inferno), dissacratori ("Rollin' Stone" trasfigurata in dieci minuti di feedbacks, accordi torcibudella, rumore bianco che s’insinua e poi esplode) e blasfemi, gli Immortal Lee County Killers infieriscono sul cadavere del blues, ne estremizzano gli assunti, lo impalano in un vortice di distorsioni eccessive, volutamente sgraziate. Il processo di ristrutturazione-destrutturazione della sempiterna materia blues portato avanti da anni da artisti come Pussy Galore, 68 Comeback, Cramps, Bassholes, 20 Miles, JSBX, Railroad Jerk, ecc. deve ora fare i conti con questi altri due debosciati figli di Howlin' Wolf, e sono cazzi amari.

Franco "Lys" Dimauro

MATMOS

A chance to cut is a chance to cure

Matador/Wide

Grazie a dio nulla di nuovo. I due Matmos sono ragazzi colti, temevo si fossero messi in testa la malsana voglia di uscire dal meraviglioso pantano del riciclaggio musicale. Questo è un disco ideale per qualsiasi momento della giornata perché ha in sé il sacro dono del compromesso. Pare che Captain Beefheart fosse ispirato dal suono dei tergicristalli della sua automobile, io credo che Daniel Drew e Martin Schmidt si ispirino al suono notturno dei tralicci con i cavi ad alta tensione. No, niente paura, non comprerete di certo un dischetto con scricchiolii filtrati da qualche eco. Questa è musica che potrebbe riuscire a fare colpo anche sulla vostra ragazza che notoriamente di musica non capisce una mazza. Ecco, magari tenetela stretta tra le braccia ascoltando "For felix (and the rats) ", una traccia che riempie il cuore di paura, la stessa paura che si prova guardando le stelle in spiaggia, immaginando che i corpi celesti producano dei rumori soavi e morbosi. John Cage perso nel cosmo, una striscia d'organo puntellata da frammenti di piano preparato. I Matmos suonano il pop del futuro, lo stesso futuro che aspettiamo dai tempi di Marcel Duchamp. L'orgasmo arriva a due minuti dalla fine ma non è il vostro solito orgasmo, è molto più madido di sudore. "Spondee", 4/4 perfetto, kraftwerkiano, appena corrotto da rumori sinistri...ma intanto ballate, ci penserete dopo. "Lipostudio...and so on", voci soul sommerse dal fango, Aretha Franklin in sala, provate ad indovinare: non è una sala da ballo, non è una sala d'aspetto, non è una sala d'incisione..vi aiuto un pò: pensate alle sue deliziose coscie tornite. C'è molto gusto ad essere cool e nello stesso tempo minacciosi, soffici e acuminati. Cosa si nasconde sotto i nostri muscoli? Credo chiodi, lo devo aver letto sull'enciclopedia medica, chissà che enciclopedia era. Che si fa stasera? Andiamo a ballare in ferramenta, però invita anche il dottore.

Fanfarello

FRIENDLY PERSUASION

Radio Web

www.antennaradio.com/punk/friendlypersuasion

Otis F. Odder = fico. S'è svegliato una mattina e che ha creato? questa radiolona webbica piena zeppa di cazzabuboli esplosivi, modernariato alieno, droghette da spiaggia e poppettino mutante. Lo senti il pop-america dei 60s, spolpettato dai picciotti dei Residents? Una hollywood in barattolo, scaduta e putrefatta! tutto questo = fico. Dal surf al beat al jazzattino, tutto passa nelle mani di scienziati pazzi del rock o semplicemente semi-avanguardisti assassini. Insomma, roba che pure Skin Graft se la sogna… Affiliata agli altri pazzoidi del magazine 'Incredible Strange Music' (chi per caso apprezzasse l'immaginario folle di Snowdonia ci faccia un salto: www.coolandstrange.com), Friendly Persuasion è l'amante migliore degli idiot sauvants che se ne stanno fino all'alba vaganti tra i meandri del web, scopandosi il caramello rancido che gli sbatte nelle orecchie il realplayer. Ascoltatela e mi direte: un’esperienza che consiglio a tutti quanti.

BaKunim

UZRUJAN

Thirteen days forth and thirteen back

Wallace/Freeland/Earwing/Audioglobe

Minimalisti e concettuali. Non lo nego, questo disco ha messo a dura prova il mio solito approccio all’ascolto. Sto scrivendo con forte difficoltà. Strani signori questi croati, formazione composta da elementi che provengono da storie musicali diverse, ma che si incontrano saltuariamente aprendo le porte a svariate collaborazioni, creando un sofisticato laboratori sonoro nel quale tutto è concesso. Strumenti, persone, suoni, storie e talenti dalla genialità pura. Cinici e clinici, terapeutici, semplicemente sublimi. Mi abbandono al loro crudele giuoco musicale: frammenti free-jazz, ritmiche elegantemente tecno-acustiche, ansimanti attese, nevrotiche pause riflessive ornate da improvvisazioni essenziali. Il disco si apre con lievi schegge di chitarra e si chiude con un recitato accompagnato da una gelida brezza ventosa. Sei brani senza soluzione di continuità, un unico percorso da seguire senza distrazioni, uno di quei dischi che occupano ogni sinapsi e alterano le percezioni spazio-temporali. Esagero? Può darsi, dischi simili sono soggetti più di altri ad una sensibilità particolarmente predisposta!

Francesco De Marco

BARTOK

The finest way to offend you

Gammapop

E la Gammapop non sbaglia un colpo. E si che qualcuno si ostina ancora a considerare l’Italia la periferia dell’impero e via con la solita, trita serie di puttanate secondo cui il rock fatto in Italia è solo un derivato, un succedaneo, una discarica abusiva e fuori legge di idee saccheggiate altrove e incenerite all’ameno peggio. Poi scopri che magari il tenace sostenitore di tali giudizi ha mestoli e padelle pieni della solita fuffa a base di Marlene Kuntz Untz e altre amenità similari e ti girano le balle. I Bartòk sono di Varese, un'età media, suppongo, non troppo bassa e un taglio new wave complesso, intelligente, articolato, insolito. Lontani da certe pastosità indie grazie anche alla scelta di eliminare il suono della sei corde dall’economia del gruppo, i Bartòk ci smaliziano con un disco che anche nei momenti più canonicamente rock 'n roll (Slacker, Black car white shoes, Conversational Exercise) conserva i tratti noir e sinistri a cui altrove si arriva per vie più complesse e laboriose sfiorando addirittura costrutti cameristici (Untitled) o avvicinandosi in quella sorta di straniante downbeat che è Vertigo, ad una specie di incontro ombroso tra Massive Attack e New Wet Kojak. E' il post punk che bacia in bocca il jazz, i Velvet Undergound chiusi in accademia nella stessa classe con Clock DVA e Girls Against Boys. Disco nuvoloso e limaccioso, ingombro di grandi intuizioni, unico ed irresistibile.

Franco "Lys" Dimauro

VICLARSEN

Abitazione

ViceVersa

I VicLarsen non suonano musica brit-pop, breack-beat, etno o med-rock e come da copione risulta difficile ridurli all’ennesimo esempio d’esercizio stilistico di scuola post-rock, nonostante lo sport, che ultimamente si sta’ diffondendo tra la critica specializzata, sia quello di trovare tra le tracce di “Abitazione”, questo o quel riferimento più o meno ante o cult: se mancano all’appello, io chiamerei in causa, con tutte le dovute virgolette, i P.I.L., David Bowie ed i Trans-Am. Lavoro riuscito, piccola orchestrazione punk, nell’attitudine e nell’uso dello stretto necessario. Otto tracce ed un paio di “spore” sostanzialmente strumentali fatte di rumori e melodia minimale ed ossessiva, il tutto attraversato da un uso dell’elettronica come di riuso, molto più artigianale che digitale, chitarre più disturbate che distorte ed un drumming glaciale. Un esordio pretenzioso ed emotivamente sincero - in “Steiner” i Vic Larsen riscoprono Federico Fellini e la sua “Dolce Vita”: “…bisognerebbe vivere fuori dalle passioni, oltre i sentimenti, nell’armonia che c’è nell’opera d’arte riuscita, in quell’ordine incantato…” - che rischia di risultare però a tratti troppo pedagogico - “Post” rimane sospesa tra durezza ed ingenuità, suonando come un monito un po’ superficiale contro un futuro sempre più povero di umanità e voci contrarie. Musica d’ambiente, non semplicemente di sottofondo, di confine, equilibratamente ortodossa e coraggiosamente anarchica. Musica evidentemente, oltre ogni tipo di polemica o manierismo, come tutto ciò che ci circonda, intrisa di significati sedimentati a più livelli, ed è in questo che ognuno, con minore o maggiore malizia, ci può leggere ricchezza o coincidenza.

Andrea Pintus

AIDORU

…cinque piccoli pezzi per gruppo con titolo…

World Too Small

In origine fu il punk-HC melodico e loro erano i Konfettura. Poi gli anni hanno aggiunto esperienza e l’apertura ad influenze più ampie, dall’easy listening alla musica elettronica, passando per il jazz ed il noise, come ben testimonia il demo “S”,16 minuti articolati in due tracce,“S” e ”She dressed blue”. Il nuovo lavoro continua sulla linea “espansiva” fatta di “diabolici” crescendo chitarristici ed aneurismi dissonanti, tensione umorale che molto gli avvicina ai Blonde Redhead di “In an expression of the inexpressible” e cambi di scena intriganti e progressivi, tra distorsioni piene e genuinamente rock (ston…?!) e processazioni elettroniche ed arrangiamenti più ricercati.34 minuti che scivolano via di traccia in traccia (5), con un assetto che enfatizza l’orchestrazione strumentale rispetto il cantato (in Inglese), che meriterebbe di essere ascoltato e scoperto nelle sue innumerevoli pieghe. Un lavoro non proprio radiofonico, ma non per questo di difficile fruizione.

Andrea Pintus

I GIARDINI DI MIRO'

Rise and fall of academic drifting

Homesleep

E' quasi un paradosso vedere i Giardini di Mirò ascritti alla nutrita, ingombrante e qualunquista lista delle formazioni post rock. Quello che viene "superato", qui, è lo striminzito vocabolario della critica musicale italiana. Una superficialità che potrebbe costare cara al gruppo emiliano o perlomeno limitare le potenzialità che la loro musica apre. Apre. Ecco un bel vocabolo: apre. La musica dei Mirò si apre, letteralmente, si schiude. Post un cazzo. Post rock erano i Butthole Surfers che rantolavano sul cadavere dei Guess Who, era James Chance che sputava dentro il sassofono, era Robert Wyatt che si lanciava senza paracadute, nel bel mezzo di una festa. "Rise and fall" viaggia su altre linee, ed è musica senza tempo, che non ha urgenza di superare niente e nessuno, la lasci girare nell’aria finché non la vedi diradarsi, dissolvere e poi....blop!....evaporata!!! E dietro si porta tutto il tuo mondo di immagini e ricordi e schifezze e nicotine e baci mai dati e come eravamo romantici prima di diventare quei balordi, pedofili, piromani, matricidi, zoccole, impiegati che la vita ci ha obbligato ad essere. E' un disco che mi ha commosso, sul serio. E non mi vergogno a dirlo, nonostante tenga ancora i Dead Kennedys e i Pussy Galore uncinati al cuore e allo stomaco. E succederà anche a voi di perdere il cuore in questi crescendo di trombe e violini, di chitarre e tastiere, in queste ascese e cadute, in queste voragini che si aprono tra un battito cardiaco e quello successivo. Alta, la musica dei Giardini di Mirò, sempre più alta, fino a toccare l’ultima molecola di ozono.

Franco "Lys" Dimauro

ANATROFOBIA

Uno scoiattolo in mezzo ad un’autostrada

Wallace/Audioglobe

Ottimo disco questo terzo lavoro del gruppo piemontese. Brani strumentali ricchi d’iperboliche improvvisazioni. E’ questa la loro maschera, amano l’improvvisazione pura che guida le loro composizioni in percorsi dove i suoni s’intrecciano senza sovrapporsi, perfettamente incastrati. I fiati carezzano atmosfere oniriche e le frammentano, la linea ritmica di una visionaria batteria concede ai due bassi una totale libertà creativa limpida e precisa (San Zio). Non si autocelebrano in virtuosismi sterili ma si concedono liberamente all’ascoltatore senza filtri, senza trucchi. Comunicano le loro immagini sonore fluide e mobili sospese in aria senza l’intenzione di scendere (Sils Maria), minimali e vagamente noir (5 sedie vecchie) destrutturano e strutturano frammenti su frammenti ottenendo un’originale genesi dei loro brani che sembrano nascere per suonarsi all’infinito. Ritmici e vibranti nella loro traccia dello scoiattolo se è vero, com’è vero, che la sperimentazione nasce e prende forme da continui incontri fisici e musicali gli anatrofobia hanno imboccato il percorso giusto.

Francesco De Marco

ELLE

Bruciamo ciò che resta

Urtovox/Audioglobe

Non un "best of" ma quasi. Modo insolito di esordire ufficialmente sul mercato, ma gli Elle devono essersi affezionati al loro prodotto di artigianato pop quanto e più di noi tanto da affidare la sorte del loro primo album per una buona metà a pezzi che già avevano occupato le loro prime sortite, anche se a volte in stato di metamorfosi avanzata (vedi la vecchia "Atto di blu" che inaugura il programma con titolo "nuovo"). Scaramantici? Superstiziosi? Autoindulgenti? Celebrativi? Forse di tutto un pò o forse niente di tutto questo, solo la consapevolezza (è una colpa?) di avere in mano alcune tra le più belle canzoncine italiane degli ultimi anni e che era giusto non far smarrire. L’amarezza nasce piuttosto dallo scoprire che non tutte le nuove ciambelle riescono ad avvicinarsi al gusto artigianale dei dolcetti di casa, "Folk # 5" per esempio è una ballata fin troppo lineare e prevedibile come d’altronde la ninnananna di "Maria". Molto meglio quanto accade nella rumorosa "AmsterdamZoo" o nella pur ovvia "Blues". I riferimenti al pop sbilenco di dEUS, Pavement e dei primi GirlsVSBoys rimangono, nella speranza che la ricerca forzata di uno stile proprio non li porti nella terra del nulla in cui marciscono già decine di bands dalle belle speranze.

Franco "Lys" Dimauro

GEA

Ruggine

Santeria/Audioglobe

I Gea sono pieni di buone intenzioni, ma non basta appellarsi a sconvolti stati d’animo (“ci rivedremo ancora prossima agonia...”), ad immagini crude (“la ferita è viva, pulsa, implora e grida) o pseudo-poetiche (“cose che segnano la pelle, sino giù, a riveder le stelle”, vi ricorda qualcosa questo verso?) per fare una canzone “toccante” e “profonda”. E non basta nemmeno spremersi in lunghe e rumorose schitarrate per riempire d’energia una canzone; l’album resta abbastanza piatto, con diverse cadute verso il basso e davvero nulla di memorabile. “Ancora in viaggio”, il primo singolo estratto, che apre il disco, e il secondo brano, “Maltman”, si mantengono al livello di un dignitoso rock leggero, ma l’ascolto dei pezzi successivi lascia davvero indifferenti. La vena grunge scorre troppo superficialmente per regalare più di qualche ricordo pallido e lontano della visceralità dei gruppi di Seattle, le intersezioni acide alla Radiohead non sono ben amalgamate nel corpo delle canzoni, “No” sembra fare fastidiosamente il verso a Osbourne in “War Pigs”. “Ruggine” ha il pregio di rimanere comunque sempre piacevolmente orecchiabile; potete regalarlo alla sorellina/fratellino che vorreste iniziare al rock più pesante senza sconvolgerla/o, a lei/lui piacerà sicuramente.

Trude Macrì

 


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