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Music - Musicians - Interview | by SuccoAcido in Music - Musicians on 01/05/2002 - Comments (0)
 
 
 
Califone

Intervistare un pezzo di storia indipendente americana mette sempre molta agitazione addosso mista ad una irrefrenabile curiosità. Tim Rutili, ex-leader dei Red Red Meat ora impegnato nei Califone con voce e chitarra, è una persona squisita e vuole fare l’intervista nonostante la stanchezza del concerto e del viaggio. Recupero così l’intervista che si era concordato di fare post cena e che per i ritardi accumulati pensavo fosse ormai saltata. Perfetto. Si sale sul piano rialzato del Bloom Art che ha ospitato l’evento, si ordinano due birre e si mette in play il registratore. Davanti a me un personaggio fisicamente mingherlino, con occhiali dalla montatura nera e grossa, capelli alla rinfusa, che risponde alle mie domande dal profondo del giubbotto in cui pare stia affondando. Insomma una persona che ha molte cose da dire e che non ha nessun bisogno di colpire gli altri con l’aspetto esteriore. Avrei dovuto passare due giorni con Tim per soddisfare tutte le mie curiosità sul presente e sul passato, sulla presunta scena di Chicago post o non post rock, etc. Con il senno di poi mi sono proposto: “alla prossima occasione lo invito direttamente a cena!”.

 
 

SA: Ciao Tim. La serata mi pare sia andata molto bene a parte il poco pubblico e quattro corde di chitarra acustica distrutte nel giro di due minuti alla seconda canzone..

T: Si, ho avuto molta sfortuna, forse le corde non erano di buona qualità, ad ogni modo io metto sempre tanta grinta quando suono, stavolta forse ne ho messa troppa! Riguardo al pubblico, bè, non ci facciamo nessun problema, quelli che c’erano hanno risposto benissimo, non ci possiamo assolutamente lamentare, questo tour italiano è stato molto bello. A Milano parecchia gente è rimasta fuori mentre qui ne mancava..che importa, alla prossima andrà ancora meglio!

SA: Voglio iniziare facendoti una domanda, forse stupida ma necessaria: che significa Califone?

T: Quando ho messo su il progetto non c’era una vera e propria band, l’intenzione era quella di fare dischi e concerti. La Flydaddy, l’etichetta che ha licenziato il primo disco, aveva necessità di sapere come si chiamasse il gruppo, mi misero davanti ad un aut aut, “ Tim, abbiamo bisogno di sapere ORA come si chiama la band!” e nello studio dove stavamo registrando c’era un registratore di marca Califone che utilizzavamo per registrare subito tutto quello che ci veniva. Così il primo nome che vidi è quello che gli comunicai..

SA: Il primo nome che ti è venuto davanti..

T: Si, perchè allora non c’era la certezza di fare altri dischi quindi non mi interessava avere un nome specifico, l’esperienza poteva finire dopo quel disco, ecco tutto.

SA: La line up di questo data, e del tour immagino, è di quattro persone oltre a te, chi sono gli altri?

T: Bè, in questo tour siamo stati accompagnati da due nostri amici di Chicago, uno alla batteria e un altro alle chitarre, banjo e violino, Matt Fields al basso [ suona su un solo brano nel disco, NdA ] e Ben Massarella alle percussioni che è in pianta stabile ai Califone.

SA: Quindi, ben tre ex Red Red Meat suonano nei Califone..allora perchè i RRM si sono sciolti?

T: I RRM erano in quattro [ della formazione originaria manca il bassista, figura quanto mai problematica nella carriera della band. Noto che Tim assume un’aria tra il rattristato e l’imbarazzato, ho forse toccato un tasto dolente, la prima bassista della band, Glynis Johnson, morta di AIDS nei primi anni ’90, pare fosse sentimentalmente molto legata a Rutili] quindi se è venuto a mancarne uno, non aveva più senso parlare di RRM, siamo ancora amici tanto che suoniamo ancora assieme..

SA: Parliamo di “ Roomsound”, l’ultimo disco dei Califone. Rispetto ai precedenti, l’uso di loops e samples è meno evidente e pervasivo, più controllato direi, mentre vi siete aperti a sonorità più psichedeliche...

T: Si devo dire che il processo di mutazione è avvenuto in maniera molto naturale, niente è stato definito a tavolino. Negli ultimi tempi sono divenuto più pratico di roba elettronica e penso di aver acquisito una maggiore consapevolezza di come mettere l’elettronica al servizio di un tipo di cantautorato che definirei, di blues deviato [ in origin. twisted blues, NdA ]. Non solo loop quindi ma suoni naturali, presi dall’esterno, e processati agendo sulle onde sonore e adattati alla necessità. Questo mi da una grandissima varietà e mi apre le porte ad infinite sperimentazioni sul suono, oltre che ad essere divertentissimo. Tutto questo applicato ad un tipo di canzone tradizionale, con una forte componente country-blues, fa nascere la musica particolare che penso suonino i Califone. La strada psichedelica che è molto presente in “Roomsound” è stata il frutto del continuo suonare e dell’affiatamento che c’è tra noi. Sai com’è, più suoni e ti trovi bene e più vuoi farlo, e ti dimentichi che quella canzone, nelle tue intenzioni, doveva essere diversa, con una struttura ben definita, i versi qui, il ritornello lì, etc..

SA: Un modo simile di intendere la musica era già patrimonio degli ultimi Red Red Meat..

T: Si infatti, è per questo che la cosa ci è venuta naturale, pur con le dovute differenze perché con i RRM eravamo molto più rock..

SA: Si, senza dubbio. Cos’è per te la folk music e cosa ti proponi di comunicare attraverso di essa?

T: Per me la folk music è una base naturale da cui partire, è un linguaggio collettivo attraverso cui comunicare. E’ qualcosa che io personalmente non ho mai ascoltato da giovane, non so perché non me ne sono accorto prima, ma fa parte della nostra identità americana. E’ come se musicalmente noi fossimo il risultato di tante sovrapposizioni.. (Tim mima l’espressione con il sovrapporsi delle mie e delle sue mani)

SA: Pensi quindi che faccia parte del dna americano..

T: Si, lo abbiamo dentro tutti. Ho incominciato con il punk ma ascoltando e leggendo sempre di più sono andato sempre più a ritroso domandandomi sempre “ ma questo da dove nasce?” e così sempre all’indietro, in ogni occasione, con gli amici, nel tuo negozio di dischi di fiducia, ai concerti, etc. ecco come ho scoperto il folk. Attenzione però, io.. noi siamo una rock’n’roll band, non sto facendo questi discorsi perché sto diventando vecchio, quel che ho detto sul folk noi lo applichiamo con un’attitudine rock, è questo che non ci farà invecchiare mai! Non voglio ridurmi come quei ridicoli cantautori folk, ce ne sono tanti, che affollano oggi l’America sfruttando la tradizione per farsi un sacco di soldi. Loro secondo me non aggiungono niente di nuovo, non sperimentano altri linguaggi e nuove vie di sopravvivenza del genere. Hai mai sentito della ‘Anthology of American Folk Music’ [ Antologia di sei cd pubblicata negli anni ’50 e recentemente riedita dallo Smithsonian Institute ] ? Ecco, lì ci sono diverse cose che mi piacciono e da cui io e gli altri stiamo imparando.

SA: Parliamo dei testi. Ho avvertito dai dischi che dai molta più importanza al suono delle parole che al loro significato. È così?

T: Si, è vero, non scrivo mai testi che abbiano un significato unico ma il più possibile aperto alla interpretazione di ognuno e non mi metto mai lì a scrivere un testo ma le parole escono fuori da sole mentre compongo e magari solo dopo che suonano bene mi accorgo che possono avere anche un significato per me.

SA: Ho letto che avete in programma l’uscita di un 7” per un’etichetta indipendente italiana, la Unhip records..cosa mi puoi dire al riguardo?

T: Si, è in cantiere. Faremo un tour negli States a marzo e poi entreremo in studio per registrare anche i brani da mettere su questo sette pollici.

SA: Un’ultima domanda. Come va la vostra etichetta, la Perishable records? Forse molti non sanno che essa era l’etichetta per la quale sono usciti i primi lavori dei Red Red Meat, passati in seguito su Sub Pop, e che è stata ripresa con i Califone. I vostri primi due EP, entrambi omonimi e pubblicati rispettivamente da Flydaddy e Road Cone, sono stati ristampati sotto il nome di “Sometimes Good Weather Follows Bad People”...

T: Abbiamo ripreso l’etichetta con Ben e sta andando molto bene. Abbiamo una completa gestione su tutto, questo è molto importante. La cura è massima, a cominciare dal packaging..[ verissimo. Tutti i dischi sono inseriti dentro una confezione cartonata e colorata con i testi stampati su carta che sembra pergamena ]. La difficoltà sta nell’imbustare i dischi, lo facciamo a mano e porta via tanto tempo e pazienza..

SA: Ma ne vale assolutamente la pena, te lo assicuro, così i vostri dischi si distinguono immediatamente in una collezione..

T: Infatti, lo facciamo anche per questo.. ciao e grazie tante per la bella chiacchierata!

 


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Bibliography, links, notes:

pen: Francesco Imperato

link:
http://www.pastrysharp.com/
http://www.myspace.com/califonemusic

 
 
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