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Theatre - Theatre Artists & Authors - Interview | by SuccoAcido in Theatre - Theatre Artists & Authors on 01/03/2003 - Comments (0)
 
 
 
Macchine Teatrali / Item Maestri

Item Maestri è un personaggio schivo fino ad una timidezza che non è difficile definire parossistica. Non vuol parlare di se stesso, preferisce parlare di Macchine Teatrali di cui è il cuore creativo. Di certo Item è una figura singolare: non viene dal mondo del teatro, per tutta la sua vita ha fatto lavori umilissimi per campare e ormai ha raggiunto un’età in cui ogni uomo ha tutti i diritti per riposarsi un po’. Solo una grande passione per un "certo tipo" di teatro gli ha dato il coraggio di intraprendere quest’avventura con Macchine Teatrali alla quale ha però chiesto di rimanere quanto più possibile dietro le quinte.

 
 

SA: Item, sappiamo che non ti piace parlare di te stesso e delle motivazioni che ti hanno spinto ad impegnarti direttamente nel teatro, ma una domanda non possiamo fare a meno di fartela. Perché?
IM: Forse …sarà la nostalgia del mare!

SA: Bene. Allora ci puoi raccontare del tuo incontro con Macchine Teatrali?
IM: E’ il posto delle streghe quello. E tutti si siedono intorno al falò. I più non si conoscono. Ma si RICONOSCONO. La Zelmira fa scivolare la crusca fra le dita aspettando l’oroscopo. Il silenzio arriva, pesante come una campana. Si spegne il falò perché l’aria è greve. D’un tratto, le fiammelle sulle dita dell’Esterina si accendono come una volta, con un leggero rumore di gasssssssssss. I volti illuminati da quella luce di santità chiamano attesa. "Evviva Giuseppe!" gridano in coro dall’alto della grande sapienza di chi aveva preso a calci PIO IX.

SA: Non abbiamo capito un gran che ma non vogliamo insistere. Dicci, invece, com’è nata la tua passione per il teatro?
IM: Dicono che all’alba partirono le finestre insieme alle passioni. Avrebbero spiccato il volo per prime le passioni a Valle Giulia, volteggiando sulla piazza per chiamare ad adunata le compagne. Mentre Pasolini urlava dietro agli studenti borghesi, scorrevano le immagini del Vietnam, talvolta a colori. La scuola mi aveva rapito ed ogni mattina raggiungevo la casa della maestra perché era lontana. Lei mi accompagnava con la cinquecento. Verde sbiadita. Con le ruote. Di seguito….il liceo in un convento di frati sfrattati con un cortile dalle volte slanciate. Le finestre guardavano il manicomio che da qualche anno avevano aperto. Poi, un giorno, di fonte alla chiesa, su un marmo scheggiato, con il prete ed un giovane anarchico ancora senza un filo di barba, scoprii che c’era dell’altro. Da quel giorno provai ad usare il cervello, ogni tanto. Appena trovavo qualche soldo correvo in edicola a comprare un Pocket Mondatori. Bertrand Russel, l’agnostico, era il mio autore preferito. Ogni pagina, una vendetta. E ben presto diventarono una linea sottile che si perdeva verso il mare. Le agricole convinzioni dicevano la resa.

SA: E qual è il bisogno profondo che ti ha portato a scrivere per il Teatro?
IM: E’ solamente un gioco! Sono seduto ad un tavolo di un bar, davanti ad una omelette alle erbette. Nella piazza, davanti alla fontana, un uomo vende storie ai passanti. L’oceano, inconsapevole, gioca con le onde davanti al morro del Ghincho. Io voglio solo giocare! Con la cenere, dentro il focolare. In compagnia di Volturno, il poeta. Forse …è soltanto la nostalgia del mare. Il Cineteatro Splendore prima o poi di certo riaprirà. E finalmente daranno Cabiria. Non è che non sento l’assenza, ma se qualcuno me lo chiede rispondo che preferisco prendere a calci PIO IX. Intanto, la domenica, vendo parole in un banchetto a Porta Portese. E gioco con loro, al gioco delle tre carte. Come la crusca, le parole si combinano a formare dei segni. Segni di terra e di cielo. Cenere di stelle. Polvere di felicità.

SA: Parlare di cose "serie", l’abbiamo capito, con Item non si può. Cerchiamo solo di cogliere le sue immagini e di dar loro un senso, per quello che possiamo. Non è snobismo il suo, ma solo una sconfinata e disarmante timidezza. Non ci arrendiamo: cosa vuoi dire quando dici che vuoi solo giocare?
IM: Una sera andai a trovare l’Esterina. Portai, come sempre, una bottiglia di vino sano e mi misi a giocare con Volturno bambino, dentro il focolare. "E’un poeta" diceva la Zelmira "Ha il mal del tempo" Questo era stato il responso dell’oroscopo. Chi meglio di Volturno, allora, Per baloccare con le parole? "Mano….mano…piazza, qui passò una lepre pazza, questo le sparò, questo lo cucinò, questo andò per il pane, questo andò per il vino e a me rimase poco pochino" cantilenò Volturno e proseguì: "E…la lepre pazza che è passata dalla mia piazza, è tanto, tanto, ….bellina!" "Grazie" Gli risposi "Le tue parole mi fanno venire gli occhi belli! Quella lepre pazza che passò dalla tua piazza forse era diventata matta non per colpa sua, bensì perché tanto bella era la tua piazza. Secondo me….quella lepre pazza, come la tua piazza, ……sta cercando Giuseppe. Volturno che ne pensi?" Ma occorreva aspettar domani per avere una risposta.

SA: Abbiamo capito (?). Ma veniamo ai contenuti del tuo teatro.
IM: Strani quei giorni di luglio. In quella piazza amara di Genova! E Carlo restò solo, con un sorriso ironico, davanti a tutti quei caschi in fila che si guardavano reciprocamente le pistole abbassate. Ma Carlo e….Garibaldo saranno morti davvero? Voglio dire: saranno morti come ciò che finisce e poi non c’è più? Chissà? Forse noi non moriamo…restiamo solo sospesi.

SA: Siamo proprio destinati a non capire.
IM: Che ci vuoi fare l’oroscopo dice proprio così!

SA: Alla fine Item ci spiega che aveva risposto alle nostre domande con brani del suo (e di Macchine Teatrali) ultimo spettacolo: Una Piazza d’Italia, tratto da un libro di Antonio Tabucchi, di cui ha anche curato il disegno di regia. Cerchiamo di condurre Item verso parole per noi con un po’ di senso. Che ne pensi della situazione del Teatro di oggi?
IM: Vuoi proprio che faccia la persona seria! Ma, ti prego, non per molto. Tu sai che io sono fuori dal Teatro, che vengo da un altro mondo. Però devo dire onestamente una cosa, limpida come l’acqua che bevo: a dispetto del mio cognome, io e Macchine Teatrali non vogliamo insegnare niente a nessuno. Vogliamo solamente "raccontare" quello di cui sentiamo il bisogno. Semplicemente. Vogliamo solo "giocare". Non credo che il Teatro possa cambiare il mondo. Anche se il Teatro di Macchine Teatrali, come tu sai, è Teatro civile e Teatro d’impegno e politico. Ma tutto passato sotto la lente d’ingrandimento della poesia. I linguaggi. Ecco il terreno autentico su cui noi ci misuriamo. E il linguaggio non è solo la parola. E il tutto per comunicare, a chi trova il coraggio di andare a vedere uno spettacolo, emozioni, sensazioni che arrivano oltre che al pensiero anche alle parte più intime del corpo. E non ha molta importanza se queste sono comprese fino in fondo. Già un brivido che percorre la pelle è segno di riconquista di una sensibilità che, nei tempi in cui viviamo, ha abdicato a favore di un pensiero globale. C’è una cosa, però, che a me infastidisce del mondo del Teatro: ci sono troppi "MAESTRI" che si arrogano il diritto di essere anche maestri di vita quando, invece, li scopri impelagati nei più squallidi e impresentabili compromessi. A loro mi sento di dire, dall’alto dei miei anni, solo una cosa: comportatevi come persone normali! Cominciate a giocare. In fondo siete solo degli attori. …Non credo ne siano capaci.

SA: Andando per teatri oggi: una fotografia del tuo presente da spettatore su una fanzine che non censura niente...
Talvolta uno va per… Teatri. Non è facile al giorno d’oggi, ti passa la voglia in tutta sincerità, soprattutto per uno come me che si è messo in testa di "fare Teatro" ad una veneranda età (dove qualcuno dice è meglio indossare le pantofole e inebetirsi di fronte ad un televisore) e che ha scoperto, dal di dentro, un mondo di cui, cretino che sono, potevo fare, e molto volentieri, a meno. Più volte mi ripeto perché non ho continuato a fare lo "spettatore" e a pagare il mio biglietto regolare? Chi me l'ha fatto fare di diventare un "teatrante" fors'anche dilettante? Sul palco, talvolta ma sempre meno, si vedono delle cose belle che da quel mondo non sospetteresti nemmeno possano essere partorite. Pazienza ma… no, accidenti! Pazienza nient'affatto! In ogni caso, com'è e come non è, in quest'ultimo mese ho ripreso ha fare lo spettatore e sono andato per… Teatri. Per Teatri a veder… Spettacoli. Cos'è che ho visto? Il vuoto e… con pochissime eccezioni. Vediamo di sistematizzare, forse m'aiuta anche a capire.

1) Ho visto degli spettacoli che sotto forma di "denuncia" (ho sentito dire) mettono in mostra il vuoto di questa nostra società ma in maniera talmente ambigua che non capisco quanto invece in esso si identificano. Questa è la cosa più disarmante che fa salire l'incazzatura. E' mai possibile che partire dalla denuncia dell'orrore che viviamo l'unica risposta che troviamo è la nostra impossibilità? E' l'in-azione? O, ancora peggio, è la risposta estrema e personale? Come se l'umano essere non sia sociale! Di quali spettacoli sto parlando? Proprio di quelli che dalla critica sono tanto sbandierati e che hanno riportato medaglieri pieni fino al colmo. "Gente di Plastica" (di Pippo Delbono) e "Otto" (dei Kinkaleri).Forse sarò io ad essere inadeguato oppure a non avere gli strumenti per capire. In ogni caso la cosa è certa, dopo aver visto questi spettacoli, il mio fegato era diventato grosso e la bile mi colava dalle labbra. Per dovere di onestà però sono costretto a dire che "Gente di Plastica" è il miglior spettacolo che ho visto di Pippo Delbono… almeno c‚è "Teatro" e una compagnia di bravi attori.

2) Ho visto tanta buona volontà, talvolta condita con acclarata sincerità, talvolta con sospetta continuità, talvolta con comprensibile ingenuità, ma che non è stata in grado di sollecitare la mia pelle ruvida e grinzosa ormai rotta dalle intemperie di quel tempo che è una inguaribile carogna. Il "Lear" (dell'Atir) possiede la sincerità (oltre che una apprezzabile onestà rara anziché no tra i giovani teatranti) tipica della Sinigaglia ma che si perde a mezz'altezza tra lo sventolare di bandiere e qualche attore che ha sbagliato il suo mestiere. "Carnezzeria" (di Emma Dante) è uno spettacolo "sospetto" (o almeno sono io che sono malfidato… e forse sbaglio, per carità!). Mi spiego subito. Non mi è piaciuto e non mi ha passato la benché minima emozione. Il tema certo è interessante, ma la comunicazione è assente. Sembra quasi uno spettacolo semilavorato. Qual'è il mio sospetto? Lo dico subito: a me è sembrata una copia, fatta in fretta, dello spettacolo precedente (mPalermu) sull'onda del successo (che talvolta fa davvero brutti scherzi). "Wargames" (di Garabombo delle Risse) invece è encomiabile per il tema che affronta e per il coraggio che traspare dalla parola. Ma già… la parola. Ma la parola ha il suo senso al di là dei contenuti. E soprattutto la parola nel Teatro è altra cosa (qualcuno la chiama anche poesia). E' proprio questo il problema che ho avvertito: mancava il Teatro e… per uno spettacolo non è poca cosa. Tutto quanto… con umiltà e, garantito, con estrema sincerità. Forse sono io, ripeto, ad essere inadeguato visto che la critica ufficiale non mi pare sia del parer mio (talvolta, però, farebbe bene anche a quest'ultima guardarsi un po' allo specchio e mettersi in discussione).

3) Ho visto uno spettacolo BELLISSIMO. E’ "Naufragi di Don Chisciotte" (dell'Out Off). E’ tutto ciò che per me è il Teatro. E' poesia, è evocazione, è immagine, è… emozione! Si. Mi sono emozionato. Una drammaturgia splendida (che è sempre la "terra" dove cresce uno spettacolo) e attori altrettanto splendidi (forse solo una regia un po' troppo frettolosa). Soprattutto la visione critica del reale che permette di superare la contraddizione lancinante per riportare in primo piano la speranza (che è sociale, ripeto) è il piccolo/grande segreto di questo capolavoro. I due attori finiscono lo spettacolo sparandosi delle "pippe" di fronte al mare ed affidando ai pesci il loro seme in modo che la loro esistenza non sia stata (e non sia) inutile. E' poesia vera. Dopo un mese intero che sono andato per Teatri mi sono riproposto di risparmiare e non per mia esclusiva volontà. Se devo andare sempre in certi posti e vedere sempre le stesse brutte cose… no, grazie, non ci vado più. Soprattutto ho ancora una volta imparato che non bisogna leggere i giornali e men che meno le critiche teatrali (mi diranno che sono un paladino dell'incultura. Non è vero. Ma… io che conto? Che fastidio posso dare?) bensì esplorare a destra e a manca e sedersi sulla poltrona del teatro (quando ci sono!) da spettatore, lasciando a casa qualsiasi divisa.

 


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Reg. Court of Palermo (Italy) n°21, 19.10.2001
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pen: Pedra Spitz

 
 
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