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Comics - About Comics - Interview | by SuccoAcido in Comics - About Comics on 01/09/2004 - Comments (0)
 
 
 
Matteo Guarnaccia e la setta degli insetti

L'artista e saggista Matteo Guarnaccia è stato uno dei primi in Italia a iniziare un serio lavoro di storicizzazione della cultura psichedelica. A tutti coloro che non hanno vissuto quel periodo, se non fosse per l'importante lavoro di persone come lui, sarebbe rimasta, molto probabilmente, solo il concetto di sex, drugs & rock'n'roll. Ma, per correttezza, si dovrebbe sostituire il termine sex con intima comunicazione sensoriale e spirituale tra individui, drugs con esperienze di stati allargati di coscienza e rock'n'roll con libera espressione delle energie creative presenti nell'essere umano. Inizia giovanissimo riempiendo con i suoi disegnini le tovaglie di carta delle osterie di Brera a Milano. In quel clima ancora molto bohéme, ricerca da subito lo svecchiamento, coadiuvato dalle teste calde e assolutamente eccentriche che bazzicavano gli scantinati di via Fiori Chiari: Angelo "babyface" Quattrocchi, Valerio Diotto, Max Capa, la sua Queen of Esquimo, Gary Stafford, la sua bottiglia di inchiostro di china, Allen Ginsberg, pittori alcolizzati, agit-prop incazzati, i nudi magici del Living Theatre. Questi personaggi rientreranno nelle sue storie e nei suoi disegni insieme a quelli reali o sognati che incontrerà nei suoi mille viaggi in autostop o nelle onde verdi dei prati e dei giardini psichedelici. Il suo "Insekten Sekte", giornale eliografato, è stato disseminato in tutta la hippie trail da Londra a Goa.

 
 

SA: Più che un'intervista si potrebbe definire una valanga di immagini che mi si è rovesciata addosso. Appena entro nella sua casa a Milano, Matteo mi fa accomodare nel suo studio e comincia a svuotare cassetti e ad aprire cartellette. Improvvisamente il tavolo a cui ci troviamo seduti si riempie di disegni su lucido, eliocopie formato lenzuolo, fotografie, riviste ciclostilate, fotocopie, originali di disegni fitti e incredibili. Gli avevo chiesto di spiegarmi le dinamiche che avevano portato alla nascita delle riviste underground, e mi sono trovata sommersa da dieci anni di testate originali, dalle matrici dei disegni alle sperimentazioni arcobaleno. Matteo mi spiega che la sua grande illuminazione fu scoprire l'eliografia. Quindi le sue prime riviste erano fatte su grandi fogli da lucido con la china e poi riprodotte in formato poster arrotolabile, riproducibili grazie a questa tecnica utilizzata fino ad allora probabilmente solo da architetti e geometri.
MG: Il tipo di materiale che vedi è nato in un periodo in cui c'era solo la voglia totale di cambiare registro. Magari oggi ci rifacciamo a quello che c'era vent'anni fa: allora no. Il prima di quei tempi era il fascismo, e noi, a parte qualche sparuto collezionista, non eravamo affatto interessati agli anni Trenta o Quaranta, come oggi lo si è, ad esempio, verso i Sessanta. Per cui c'era un tentativo di rompere definitivamente con quello che facevano i nostri padri o fratelli maggiori, c'era un flusso molto forte di cultura creativa, di qualsiasi cosa potesse rompere, di qualunque cosa fosse fantasioso…

SA: L'immaginazione al potere…
MG: Sì, il famoso slogan nasce proprio da questo. Si voleva fare qualcosa di diverso da quello che c'era in quel momento nel mondo, che era veramente grigio, dai vestiti, alle strade, alle macchine, a qualsiasi cosa: era tutto spento. Per cui questo tipo di stampa, di manifesti, volantini e giornali erano il segno della voglia di cambiamento, riallacciata a un desiderio di positività, nel senso che l'impegno non era volto a essere dannati, o bohemien autodistruttivi e perversi. Non era una rincorsa a voler cambiare in meglio questo o quello, ma il pianeta, addirittura. Nasceva da esperienze collettive, questa è la cosa fondamentale. E ci vuole amore e passione totale per la materia, perché in un mondo che stava andando verso la meccanizzazione, e quindi alla robotica, al tecnicismo a tutti i costi, ci si riappropriava di questo lato manuale e artigiano. Se lo vuoi vedere in chiave storica, si riallaccia a quello che faceva William Morris in Inghilterra nell'Ottocento, i Preraffaelliti, le prime scuole di Arts & Crafts, dove si ritornava a usare l'artigianato in funzione di una bellezza per il popolo. Ecco, la bellezza era uno degli ideali chiave: inseguire la bellezza ovunque si trovasse. Riappropriarsi delle tecniche più basse e i materiali più umili, il linoleum, il ciclostile, l'eliografia (tutti mezzi che esistevano già, non è che li abbiamo inventati noi!). L'unica vera innovazione tecnica del periodo, forse, è stata la stampa offset, abbastanza flessibile, che permetteva di stampare in cento o mille copie in maniera economica.

SA: Perché proprio il linguaggio del fumetto ha caratterizzato queste riviste?
MG: Prima di tutto perché il fumetto era sempre stato considerato un linguaggio di serie B. In quegli anni tutto quello che era di serie B veniva riciclato e riutilizzato perché non faceva parte del mainstream, da ciò che era accettato dalla cultura ufficiale. Quindi: film di serie B, horror, fanta, sexy, più la letteratura. In questo periodo il fumetto era malvisto, anche a scuola ti dicevano (e adesso fa ridere): "non leggete fumetti", oppure ai genitori: "suo figlio legge troppi fumetti". Era l'alternativa che poteva sviarti da un certo tipo di educazione. C'era un fumetto molto colorato, spensierato, ironico e bizzarro, alla Jacovitti, per intenderci, iniziava quello che allora si definiva un fumetto intellettuale, e poi c'era un equivalente italiano nel fumetto horror, "Diabolik", "Kriminal". In molti sensi era una vera e propria rivoluzione dell'immaginario. La prima volta in cui, dopo un retaggio Ottocentesco, il criminale o il deviante diventa eroe. La visione generale era un po' questa. Per quanto riguarda la base del movimento hippie e successivante freak, questo linguaggio era utilizzato per trasmettere idee di pacifismo, amore per la natura, liberazione sessuale, stati alterati di coscienza, l'andare contro la tecnologia. Per la prima volta si usano solo queste tecniche "povere": la xilografia, l'offset, il ciclostile, l'eliografia… tutto quello che vedi qui… anche nel formato. Questo che vedi… una fustella a forma di spinello… e questo è la rivista-manifesto, o poster… Il poster è stato un boom in tutte le case che volevano essere alla moda, à la page, o trendy, come si direbbe oggi. Era il recupero dell'arte bassa. Poteva essere del divo americano, del cantante del momento o il poster rivista, il giornale murale, che in realtà era un mezzo di comunicazione molto sofisticato e molto diffuso. Nasceva in situazioni collettive e andava poi nelle strade, nei concerti, nei pop festival. Nasce prima come ciclostile, ad esempio "Mondo beat", parecchi nel nord italia, "Ribelle", ad esempio. Molte nascono a Milano, come "Puzz", "Insekten sekte" era fatto da me con l'eliografia. "Male" era della comune romana, che faceva sempre manifesto con questo stile. Nel Settanta o Settantadue, con questo fenomeno ormai avviato e consolidato, iniziano a nascere persino riviste fatte di fumetti e per i fumetti, iniziano magari le mostre e la critica, con Umberto Eco, Gandini. Nel Sessantacinque grazie a Linus e a Oreste del Buono, il fumetto viene considerato come mezzo di comunicazione importante e "alto". Per cui Linus è stato molto importante, anche per il rapporto con l'estero. In ogni caso, per la prima volta, la gente comprava fumetti e non si vergognava di farlo. Gli stessi americani rimasero allibiti perché i Peanuts apparivano solo come striscia nei loro quotidiani (così come è tradizione nei paesi anglossassoni), mentre qui c'era un giornale apposta per loro che pubblicava il fumetto come manifestazione alta, accanto ad artisti francesi e americani. Con "Karakiri", poi, inizia anche la satira in Europa. Quindi iniziano una distribuzione regolare anche nelle edicole, i collegamenti con un certo mondo intellettuale e finalmente si valuta per quella forma di comunicazione importante equivalente alle altre.

SA: E questo tipo di pubblicazione ha continuato? O meglio, quali sono i suoi successori? Le ultime autoproduzioni che ho incontrato sono di stampo più punk e molto fotocopia…MG: Questo spazio colorato e creativo sperimentale cessa più o meno attorno al '64-'65. Da una parte finiva un mondo e una ricerca esistenziale, si imponeva da parte del mercato la necessità di una distribuzione diversa e massificata e, anche se tardi e molto lentamente, inizia in Italia un certo tipo di investimento verso questa forma di comunicazione a livello più intellettuale. In America è invece sostanzialmente parallela, nel senso che appena un artista underground si faceva conoscere con una o due uscite, subito veniva catapultato nel giro sia ufficiale che intellettuale. E anche con la musica era così, con le copertine e i manifesti. In Italia, invece, rimaneva una cosa di nicchia, anche ora con i grandi numeri delle testate uscite. Chi ha cercato di recuperare questo immaginario, ma in maniera più cinica rispetto all'underground americano, è stato il gruppo che lavorava per la rivista "Cannibale", che poi si è trasformata in "Frigidaire". Più o meno queste hanno mantenuto la ricerca nel campo di una grafica vicina all'underground. C'era Tamburini che lavorava anche per Stampa alternativa, Pazienza, Scozzari. Hanno preso questo tipo di cultura e l'hanno traghettata fino agli anni Ottanta. Da lì in poi sono morte per stanchezza o hanno cambiato rotta, le riviste tipo Linus, hanno cambiato formato, o l'intera redazione, sono diventate riviste "normali".

SA: In questo tipo di riviste successive esiste anche un po' più di satira, forse si sono prese delle parti...
MG: Sì, e le vignette satiriche sono apparse anche sui quotidiani, cosa fino ad allora impensabile per la serietà delle testate. È nei paesi anglosassoni che nasce questa abitudine alle strisce in fondo pagina al quotidiano. Ora ci sono le pagine intere e le copertine dedicate a Forattini, a Vauro… capisci, certe cose sono entrate nello sguardo di tutti i giorni. Bisogna aspettare poi negli anni Ottanta con il movimento punk che darà origine a una nuova ventata di autoproduzioni di fanzine, grazie anche alla fotocopiatrice che noi non avevamo. Il termine "fantine" deriva dai collezionisti di giornali di settore di fantascienza americani e diventa il mezzo di comunicazione veloce. Si sperimenta anche molto con la fotocopiatrice, dalle immagini mosse, gli oggetti appoggiati, la carta tagliata prima, toner di colori diversi, un modo un po' futurista di trattare il supporto cartaceo.

SA: Entrava anche in gioco, dal lato della linea estetica un certo tipo di filosovietismo…
MG: Si. Anzi. Erano proprio costruttivisti, un immaginario di sapore anni 30… loro sì. Poi l'esplosione e la morte subitanea per bulimia e incapacità di gestire il fenomeno del fumetto d'autore. Per cui, negli anni Ottanta vengono osannati questi, tipo Pratt, Crepax, che hanno ristampato tonnellate di loro materiale. Arriva anche in Italia la rivista francese "Metal hurlant", con il suo nuovo immaginario fantascientifico decadente, con Moebius e Jodorowski. La fantascienza è un punto focale per l'immaginario delle generazioni di quegli anni… poi sì, c'è l'autogestione del punk… e… arriviamo ai nostri anni col rinnovo dei motivi dell'autoproduzione, più legato a una voglia autopromozionale che a una ricerca sperimentale. Per cui è chiaro che un artista che fa certe cose e le fa vedere in giro, spera, com'è normale, di venire scoperto dalla rivista, dalla galleria, da chi possa "portare" il suo lavoro. E questa è una cosa tipica di questi anni. Noi le facevamo e basta, il punto d'arrivo erano le riviste autoprodotte, non erano un trampolino. Il motore erano i discorsi, le idee, i progetti, non la voglia di essere scoperti. Infatti la dimostrazione sta nel fatto che le riviste nascevano, morivano e rinascevano con una costante voglia di mettersi in gioco, non c'erano opzioni differenti. Oggi l'autoproduzione è un fenomeno che coinvolge il singolo autore per far conoscere il proprio materiale, salvo qualche sparuto gruppo di artisti che magari si associa e contempla dei progetti comuni, ma in funzione del progetto e non del gruppo. Vedo ogni anno nella manifestazione del Leoncavallo numerosi gruppi di questo tipo. Vengono da Francia, Olanda, Spagna. E il fine è quello, non è una sala d'attesa. È quello il fine. Anche se è molto più sparuta come concezione.

SA: Una cosa che mi da molto fastidio di ciò che ho visto in questa manifestazione, a parte le prese di posizione politiche molto forti e molto cieche, è la qualità di molte di queste produzioni. Fatto salvo sicuramente "Lolabrigida", o "Mano", che mi sono apparse una specie di rivoluzione, molte altre erano fatte molto male. Non nel senso del mio gusto personale, ma veramente montagne di fotocopie raffazzonate. Come tu su un lucido tiravi le righe dritte o storte secondo un preciso volere, qui ho visto fotocopie fatte male con la scusante della coraggiosa autoproduzione: ma fare una fotocopia storta o dritta, farla bene o farla male, ha lo stesso prezzo e la stessa fatica!
MG: Ci passa l'idea che l'autoproduzione ammette tutto. Ma questi ragazzi non solo hanno fotocopiatrici, ma computer e con il prezzo di una cartuccia puoi stamparti un libro nella tua bella cameretta! Questo però succede in Italia…

SA: Tornando a voi. Passavate sui giornali da parete anche date e manifesti dei concerti, le poesie…
MG: Sì, nella loro povertà sono stati i primi mezzi a far entrare in Italia musicisti e scrittori di cui altrimenti non si sarebbe mai sentito parlare, fotografi, ad esempio il Living Theater… raramente apparivano su altre riviste… Adesso hai migliaia di possibilità in più, puoi fare di tutto con il tuo computer, ma se non hai dentro la voglia di sperimentare e l'energia creativa, puoi avere la tecnologia che vuoi, però… In queste tavole, in queste piccole riviste povere, trovo sprazzi di creatività di una tipologia difficilmente ritrovabile in altri contesti. Guarda queste, ad esempio… (E qui dai mille cassetti uscirono altre meraviglie, tra cui alcune riviste parzialmente colorate a mano in punti diversi, e altre foto, e altre xerox…)

SA: Ma queste sono colorate a mano!!!
MG: Sì, e non c'era neanche la coscienza che fossero multipli d'arte! Si facevano e basta! Il diritto d'autore… pensa che alcuni, addirittura, nei vari cambi ricalcavano un disegno e lo ritrasformavano per il proprio giornale, o facevano i radex per poi ristamparli… Si vendevano in mezzo alla strada. Io passeggiavo con i miei rotoloni per la strada, e alcuni li vendevo, altri li scambiavo. E pensa, è inimmaginabile il giro che facevano queste riviste! Tutti viaggiavamo, si faceva l'autostop, le feste, Amsterdam, India… mi è capitato di ritrovare un numero del mio "Insekten Sekte" in un albergo in India, e capisci che avevano un tipo di diffusione capillare!

SA: Questo è veramente fantastico, adesso non sarebbe possibile, probabilmente senza internet, senza distributori, nessuno sarebbe niente in mano a nessuno.
MG: Però se pensi… queste cose non le trovavi né in edicola, né in libreria, tranne per un paio di librai che si illuminarono in seguito; le trovavi solo per strada, o scambiandoli con qualcun altro. La cosa bizzarra è che magari… tipo: adesso ci sono un sacco di problemi, il copyright ad esempio. Invece così tutto era di tutti e niente di nessuno, ma senza alcun principio di comunismo politico, ma la libertà sincera di diffusione. Anzi, meglio se qualcuno ricopiava o ristampava: tutto aveva maggiore visibilità e non c'erano problemi neppure di sfruttamento o di lucro, nel senso che a rivenderli, comunque, andavi a pari con la produzione o al massimo sapevi che quella sera avresti mangiato. (Apre un altro cassetto). Queste sono le matrici in radex sopravvissute a trenta e passa anni di storia, e le stampe magari sono andate sia a Londra che a Goa.

SA: Era un mondo di comunicazione assolutamente parallelo. Ma com'era quello ufficiale?
MG: Prova a pensare cosa era la comunicazione in quegli anni. C'erano due canali della Rai e passavano le notizie col contagocce. Questo era veramente un mondo di comunicazione parallelo, potevi sapere quello che succedeva a Londra o a Berlino o nelle altre capitali europee anche senza Internet, e per cui non era affatto una cosa di nicchia, come la fanzine che la compri e rimane lì.

SA: Era molto casualmente e molto liberamente distribuita. Ma a quanto pare funzionava.
MG: Altroché. E sai una cosa? L'anno scorso mi sono messo a fare una specie di censimento, e ho contato un migliaio di testate. Magari con sei numeri l'una.

SA: Come era visto dalla stampa ufficiale, questo contraltare della comunicazione? Era sicuramente considerato clandestino…
MG: Altroché. Le riviste erano controllatissime dalla polizia. Ancora oggi per aprire una rivista in Italia, devi avere un direttore responsabile che sia iscritto all'albo dei giornalisti, e questo la dice lunga su come siamo combinati. Qualcuno riusciva anche a farsi firmare qualche carta dal cugino dell'amico del cognato giornalista, ma tutte queste riviste erano assolutamente clandestine. Anche un solo manifesto era clandestino: se la polizia ti beccava per strada, te lo sequestrava, perché parlava di antimilitarismo, magari. Adesso, con la veicolazione e la velocità delle notizie, un volantino stampato in duecento copie è una bazzecola. Ma allora era l'unica alternativa. Ai tempi duecento volantini potevano significare processi, condanne e sequestri. Anche nel loro piccolo hanno smosso un sacco di casini. Tu lo facevi perché lo facevi, ma loro ti fermavano, ti sequestravano tutto e piantavano grane.

SA: Anche se non erano esplicitamente contro qualcosa?
MG: Si, giusto per il dovere di contenere questo tipo di pensiero ed esuberanza. Guarda questa copertina. (Fallo!) L'ho disegnata nel '71. Per quanto ti possa apparire carina o meno, io sono stato denunciato perché era oscena. (Scoppia a ridere)… Da questo puoi capire con che tipo di mentalità siamo stati educati e quindi cosa volevamo cambiare. Fornivamo consigli per fare l'obiezione di coscienza, informazione sulle droghe, come fuggire alla patria potestà… ai tempi la maggiore età erano i ventuno anni! Molti di questi ragazzi, e oggi sembra una pazzia, ma venivano veramente rinchiusi in manicomio.

SA: Scusami ma qui non ti seguo… il manicomio al posto del carcere come norma?
MG: No, nel senso… se uno non era regolare, era strano, e di conseguenza malato. Quindi finiva in collegio o in manicomio. Perché eri strano. L'adolescenza era vista come anarchia. Adesso andare a scuola con i jeans e i capelli troppo lunghi o troppo rasati è normale, ai tempi i tuoi genitori magari ti consideravano deviato e ti mandavano al manicomio. Anche per pochi mesi, nei quali riuscivi a diventare pazzo per davvero. Sembra la Russia ma è l'Italia di quaranta anni fa, soprattutto nelle città. Non si direbbe ma è così.

SA: E in provincia?
MG: Sembra tutto assurdo, però era così… In provincia i ragazzini che facevano i giornali erano più numerosi. Spaccavano la legna e poi facevano i giornali, meno controllati… questa è la cosa straordinaria. In questo modo arrivavano notizie da ovunque, ricalcavano i disegni di altri manifesti o da riviste per riappropriarsi di certe icone e poi ridiffonderle trasformate. Elaborazione continua delle immagini che arrivavano anche dai canali ufficiali. Elaborazione di ogni cosa che sta attorno. E non aveva come modello stilistico la satira, che sarà imperante successivamente. Non ce la prendevamo con un singolo, era solo tutto legato a questi ideali di bellezza, di creatività e sperimentazione. Una delle riviste più famose per la satira fu "Il Male", uscito forse nel '75.

SA: La politica: penso che tutti poi abbiano preso delle parti…
MG: La satira è politica, dipendente dalla cultura ufficiale, devi puntare qualcuno che tutti conoscono, la tua controparte deve essere la controparte anche di altri. Non c'era nessun tipo di contrapposizione. Per noi c'erano solo grandi ideali, la satira invece prendeva di mira magari Andreotti. Noi si pensava al mondo.

 


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Pen: Maria Tassi

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